Sara Errani: coach Lozano racconta i suoi 12 anni passati insieme

Share

sara-errani-pablo-lozano-coach-2016-2017

Pochi giorni fa coach Pablo Lozano è stato raggiunto da PuntodeBreak all’ Accademia Tenisval di Valencia per un’intervista one-to-one. Quello che state per leggere è il magnifico racconto di un viaggio durato 12 anni, passato ogni giorno al fianco della nostra Sara Errani.

“Allora Pablo, puoi raccontarci cosa è successo?

Beh, in 12 anni di cose ne sono successe parecchie. E’ strano per me separarmi da Sara dopo così tanto tempo e sapere che è alla ricerca di un nuovo team, ma doveva succedere. Nessun altro nel Tour è duranto quanto noi. Purtroppo ogni cosa tende al suo declino naturale, specialmente se i risultati non sono più così positivi. Questo sport è talmente competitivo che non ti lascia altra scelta se non andare avanti, avanti e avanti. Non importa cosa si trova nel mezzo, anche fosse un’amicizia stupenda come la nostra, ci devi passare sopra e proseguire per la tua strada.

Quando un giocatore non ottiene i risultati che si era fissato deve forzatamente trovare una soluzione e fare una scelta basandosi unicamente sulle sue esigenze personali. E’ in questo posto che lei ha costruito il suo successo: lontano da casa, sacrificando la sua vita per poter raggiungere i suoi obiettivi. Questo non è nient’altro che un ciclo arrivato alla sua fine naturale.

Mi sembra ingiusto però che i risultati siano l’unica cosa che conta davvero quando alle tue spalle hai una collaborazione di 12 anni..

Ogni risultato ha la sua logica. Quello che conta realmente non è chiudere l’anno 12° o 20° in classifica. C’è stato un momento in cui tutti hanno visto un calo di competitività in Sara e per una giocatrice di costanza come lei questa è probabilmente la peggior cosa che possa capitare. A quel punto era chiaro che stesse perdendo la sua essenza e che il responsabile per questo fossi io. La ragione per il peggioramento dei suoi risultati è questa. Le cose non andavano più bene come prima. Abbiamo cercato di fare il possibile per trovare un’alternativa ma purtroppo non ci siamo riusciti. L’unica soluzione era fare questa scelta. 

Quindi siete stati entrambi d’accordo nel prendere questa decisione?

Diciamo che tutto è iniziato allo US Open. Non siamo riusciti a raggiungere quello che speravamo, anche se Sara era ancora tra le Top40. Chiaramente lei non si è consolata con questo fatto e non era difficile da vedere, specialmente se davanti a te c’è una giocatrice come lei.

Quando alleni una come lei vincere è bellissimo, perdere…un po’ meno. Abbiamo sempre avuto la fortuna di vivere insieme più vittorie che sconfitte ma quest’anno è andata diversamente. Non voglio dire che io fossi a mio agio anche quando perdeva ma diciamo che affrontare la giornata successiva è molto più difficile per l’atleta. Vivere così è molto pesante ma non lo è stato mai quanto quest’anno. Per questo penso che la nostra decisione sia stata la più difficile ma anche la più giusta da prendere per la carriera di Sara. Io non avrei mai potuto lasciarla andare per colpa dei cattivi risultati. Quando è venuta a parlarmi non ho pensato a me un solo secondo e l’ho supportata al 100%, come si fa con una di famiglia.

Ti saresti mai immaginato che la vostra collaborazione sarebbe finita così dopo 12 anni? 

Ad essere sincero ho pensato che avrebbe potuto finire ogni volta che perdeva 3 match consecutivi. La nostra relazione ed il legame straordinario che abbiamo fuori dal campo non deve influenzare le sue scelte. E’ giusto che sia così. Se io sono responsabile per i suoi risultati, e questi non sono quelli desiderati, deve prendere una decisione. Se io faccio delle scelte sbagliate o non sono in grado di metterle in pratica, perché mai dovrebbe pagarmi? E’ giusto che un allenatore si prenda le sue responsabilità.

Toni Nadal dice di non essere mai stato responsabile per le vittorie di Rafa, quindi tantomeno è responsabile ora per le sue sconfitte. Immagino che debba suonarti strano…

Io non sono nessuno per giudicare un allenatore straordinario come Toni. Ognuno è libero di avere la propria opinione ed i propri metodi. Non è un segreto che sia il giocatore ad andare in campo ma per rendere al massimo deve anche essere indirizzato al meglio da fuori. Allo stesso modo non è una novità che attualmente il circuito sia pieno di veterani con centinaia di partite già all’attivo. E’ normale che un allenatore per loro non sia più fondamentale come quando erano alle prime armi. Se credi che io sia un bravo allenatore fai pure, ma la verità è che nulla sarebbe stato possibile se non avessi avuto a disposizione la qualità di Sara. Io ho fatto del mio meglio per allenarla e lei ha fatto del suo meglio per darmi fiducia. Si può dire che sia stata una buona combinazione.

Com’era all’inizio?

Quando mi chiamarono per allenare Sara io lavoravo all’Accademia Tenisval. All’epoca lei aveva 17 anni ed era tra le prime 600 del mondo. Veniva da Barcellona e si portava appresso un infortunio di lungo corso. Decidemmo così di provare a vedere come andava per un anno. Io ero alla ricerca di una giocatrice su cui concentrarmi esclusivamente e dopo solo 3 mesi vidi già il quadro completo apparire davanti a me. Fui sopreso dalla totale fiducia che ripose in me in così poco tempo. Fu questo che mi convinse a fare il passo successivo. Così l’anno dopo ci trasferimmo definitivamente a Tenisval dove al team si aggiunse anche David Andres come personal trainer; lì iniziammo a lavorare in gruppo con Ferrer, Anabel, Andreev, Kirilenko, etc. Da lì in avanti la storia la conoscete. 

Scommetto che hai talmente tante storie da raccontare che potremmo passare qui una vita. Dimmene una.

Roma, 2005. Eravamo al circolo durante un break tra gli allenamenti di giornata e stavamo giocando alla PlayStation. Lei prende Hewitt, come sempre, io prendo Nalbandian. Questa è Sara Errani quando gioca a qualcosa, qualsiasi cosa: considera che ogni volta tra di noi era una partita infinita. Come al solito quindi ci mettiamo una vita ma alla fine arriviamo al tie-break. Mi giro e la vedo nervosa come non mai. Allora le misuriamo il battito cardiaco…ed era 192!! Giocando seduta alla Playstation! Ma si può!? Scherzi a parte, è stato in quel momento che mi sono realmente reso conto della miniera d’oro che aveva dentro di se’. Ho capito allora che per portarla a dare il massimo dovevo sfidarla ed alimentare la sua competitività in continuazione.

Sara non ha mai avuto a disposizione la miglior macchina in pista ma siamo comunque riusciti a vincerci parecchie corse. E’ ovvio che abbiamo cercato di migliorare quante più parti possibili ma non ci siamo mai illusi di poter raggiungere la stazza della Sharapova o la potenza di Serena. Sara ha mobilità, intelligenza e resilienza illimitata.

Con il suo servizio ed il suo dritto qualsiasi altro coach non si sarebbe nemmeno preso la briga di provare…

…O l’avrebbe fatta servire a 190km/h. Nessuno mette in dubbio che il servizio sia uno dei colpi fondamentali del repertorio di ogni giocatore – non a caso ci abbiamo lavorato così tanto sopra – ma non è l’unico, specialmente per un tennis come quello di Sara. Io vengo pagato per farla vincere, non per far rifare gli occhi a chi la guarda giocare. Serve a 140km/h, 120km/h, anche 100km/h, lo sappiamo. Ma non è quello il punto. Le sue qualità sono molte più dei suoi limiti ed io sapevo come farle fruttare. Per questo il suo servizio a me è sempre andato bene così com’era. Non potevo chiederle tutto, e fortuntamente questo non è stato strettamente necessario perchè Sara è un’eccellente allieva: sa rispondere agli input che le vengono dati in un batter d’occhio e sa metterli in pratica in campo in qualsiasi situazione si trovi. 

E’ stata proprio una storia di fede, la stessa che hai avuto in Sara Errani fin dal primo momento che l’hai vista..

All’inizio non avevo quel tipo di fiducia che mi facesse credere che in qualche modo avrebbe sicuramente raggiunto tutti quei traguardi. La fiducia si costruisce sulle vittorie. Sul controllo che senti di avere sulla pallina e sull’ottima forma fisica. Più sono presenti queste sensazioni, più cresce la tua fiducia. Non si vincono partite solo perchè qualcuno ti dice che sei abbastanza bravo da riuscirci. Sara è un caso a parte, ma le critiche della gente l’hanno sempre caricata. Mi ricordo quando le dissi “Tranquilla, una tua sconfitta non farà più tanto rumore quando sarai fuori dalle Top100” subito dopo che aveva perso una partita quand’era in Top10. Immagina come si sentiva a Parigi, quando lo è diventata senza ancora aver mai battuto un’altra Top10.

Sara è sempre stata una fuori dal coro. Per esempio, ogni volta che vinceva voleva continuare a giocare. Mi ricordo di quando eravamo a Palermo nel 2008. Il suo primo trofeo in singolare. Praticamente qualsiasi altra giocatrice la settimana dopo avrebbe scelto di riposarsi, magari tornando a casa per festeggiare la vittoria con la propria famiglia. Noi no, al contrario decidemmo di andare a Portoroz. Non volevamo accontentarci di così poco e sapevamo quanto ancora potevamo fare. Anche se Sara era al 40% dopo Palermo mi ricordo di averle detto: “Ti immagini andare lì e farle penare anche se non stai al massimo?”. Fu proprio così che andò la settimana successiva. Partimmo comunque per Portoroz e Sara vinse il torneo, fece il mazzo a tutte.

Più ti sento parlare più mi viene in mente David Ferrer: sembra proprio che lui e Sara abbiano la stessa etica professionale  e la stessa personalità:

Lui è sempre stato uno specchio per noi. Figurati se Sara non voleva arrivare al circolo alle 08:45, dopo aver saputo che a quell’ora Ferru già correva? Per entrambi fare sacrifici è parte integrante del lavoro. David per noi è stato esempio quotidiano da seguire. 

Torniamo al 2016. Non è curioso che nello stesso anno Sara abbia raggiunto il suo peggior ranking e vinto il suo miglior titolo in carriera? 

E’ curioso perchè in verità a Dubai non voleva neanche andarci. Ad inizio anno aveva fatto bene a Sydney (aveva perso con Kuznetsova ai quarti), poi però era uscita al primo turno a Melbourne dopo avere praticamente già vinto la partita. In Federation Cup è andata anche peggio perché ha perso entrambi i suoi match. Quando è tornata a Valencia era distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Ma ripeto, Sara è quel tipo di giocatrice che ha bisogno di stare in campo per recuperare sensazioni positive. E’ come un’arma da guerra che si nutre della battaglia. Abbiamo deciso di andare a Dubai all’ultimo. Non c’è stato giorno in cui Sara non abbia pianto ma alla fine è riuscita a vincere. E’ stata una settimana terribile per lei, ha spremuto anche l’ultima goccia di energia che aveva in corpo per stare in campo. E’ stata una sofferenza enorme.

Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più orgoglioso di lei al netto di tutti questi anni?

 

Non ce n’è uno in particolare, quello che mi ha reso veramente orgoglioso è stato il nostro lavoro di squadra all’Accademia giorno per giorno. …Però non scorderò mai le parole di Sara dopo la finale persa contro Sharapova al Roland Garros 2012. Tra singolo e doppio non avevamo avuto neanche il tempo di respirare per tutte le due settimane, quindi avevo pensato di parlarle il meno possibile per non metterla ulteriormente sotto pressione. Fu lei che a fine partita a dirmi: “Pablo, non ho mai avuto più bisogno di te che in questo momento”. Aveva fatto quarti in Australia, vinto ad Acapulco, Barcelona e Budapest, e in più era n.1 in doppio. Invece di prendersi i meriti per tutto questo venne da me e mi chiese di aiutarla ora più che mai.

Ad oggi non è ancora esistito momento più gratificante per me: sapere di poterle essere d’aiuto e rimanerle vicino nonostante fosse all’apice del circuito. Nessuna vittoria o titolo può minimamente competere con quella sensazione. Non mi vanto dei suoi risultati ma del suo modo di essere come persona e come giocatrice. Essere orgogliosi per una vittoria è molto semplice. Sentirsi chiedere il proprio aiuto per crescere ancora è impagabile.

Immagino che per entrambi sia altrettanto impagabile l’aver raggiunto quei risultati avendo a disposizione solo un talento limitato come quello di Sara.

Come può essere descritto il talento? Io ho sempre sostenuto che Sara sia una persona normale, proprio come il 90% della popolazione. Questo però non vuol dire che allo stesso tempo non possa avere dei tratti speciali da far emergere. Guardandola non ho mai pensato: “Non era nessuno prima, guarda dove siamo ora invece”. Ha delle abilità veramente straordinarie. Sfortunatamente non sono così attraenti all’occhio dei più. Se tutte giocassero come Sharapova vincerebbe sempre la più alta, o la più forte.

Dovevo inventarmi qualcosa per contrastare questi giganti con un fisico di 160cm. Mi rifiuto di credere che una qualsiasi giocatrice con il suo stesso fisico si arrenda al loro cospetto senza nemmeno provarci, mi rifiuto. Ognuno deve essere bravo a trarre ogni possibile vantaggio dai mezzi di cui dispone. E mi emoziona vedere una cosa simile messa in pratica, non perchè sia lei a farla ma per il principio di dover sempre trovare un nuovo modo per riuscire a dare il massimo. Quello che invece mi fa incazzare è il perdere contro giocatrici tanto potenti quanto stupide: giocatrici che non comprendono realmente il tennis e tantomeno capiscono il motivo per il quale fanno quello che fanno in campo. Nonostante questo le persone le giudicano migliori delle altre solo perchè sono alte 1.85m o perchè hanno un missile al posto della prima di servizio. Certo, loro si vendono meglio, sono più accattivanti agli occhi del pubblico ma finisce lì. Inutile dirvi che non è facile percorrere questa strada ma persone come Sara hanno dimostrato che è possibile. Personalmente se mi chiedessero di fare la mia squadra di calcio ideale la mia scelta sarebbe senz’altro 11 Errani.

Come influisce questa separazione sulla tua vita?

Sicuramente è l’occasione per iniziare a pensare a quello di cui io ho bisogno. Durante gli ultimi 12 anni Sara è venuta prima di qualsiasi altra cosa. Ma mi mancherà tantissimo… Soprattutto mi mancherà lo stare insieme quotidiano. Adoro giocare a tennis con lei, per questo ho cercato di farlo quanto più ho potuto fino ad oggi. Guardarla competere, vederla sorpassare i suoi limiti… E’ stato un piacere per me. Puoi star certo che non saranno le vittorie o i trofei a mancarmi. Ora ho tutto il tempo che voglio per decidere cosa è meglio per me. 

Hai già qualcosa in mente?

Un sacco di cose per la verità, ma sicuramente avrà a che fare con il tennis professionistico. Ora come ora non me la sento proprio di rimettermi in marcia insieme al resto del circuito e stare via da casa 20 settimane l’anno. Non è una cosa che né io né la mia famiglia prendiamo in considerazione. Per quanto riguarda Sara non saprei… Magari si mette in testa di giocare quanto la Navratilova e mi tocca tornare ad allenarla per altri 20 anni! *ride*

L’unica cosa certa è che ora ho tutto il tempo del mondo per stare con mia moglie e i miei bambini.

E quando sentirai che sarà arrivato il momento giusto, cosa farai?

Probabilmente qualcosa di simile a quello che facevo con Sara, magari però con un team più numeroso. Per tutti questi anni ci siamo stati solo io e David Andres – il miglior preparatore del mondo –  ma non sai quanto avrei voluto che ci fosse stato qualcun altro che ci desse una mano e ci permettesse di rifiatare durante la stagione. In 10 anni ho saltato meno di 10 tornei e sappiamo tutti come Sara sia una delle giocatrici più attive nel circuito. Se potessi scegliere darei la prima maglia a David e poi integrerei il resto della squadra con persone competenti che abbiano voglia di viaggiare. Non ora però. 

Dopo l’avventura ed i successi con Sara capisco che per te sia più facile ripartire da 0..

Credo che sia più facile ma allo stesso tempo più rischioso. Come ho già detto, avrei potuto essere licenziato tante volte quando le cose non andavano benissimo con Sara. Ognuno ha i suoi propri obiettivi, magari un giocatore si sente soddisfatto dopo aver raggiunto la Top10 e decide di punto in bianco che i tuoi servizi non sono più richiesti. E’ già successo, niente di nuovo.

Per un coach è davvero gratificante riuscire a portare qualcuno a quel livello ma la verità è che si può goderne solo nel momento in cui ci si arriva. Non c’è nessuna garanzia di poter continuare nel frattempo. E’ il giocatore a doversi fidare del percorso scelto dall’allenatore. A Sara ho sempre detto: “Pagami fino a quando hai bisogno di me”, ed è esattamente quello che ha fatto.

E Sara? Che strada prenderà ora?

Credo che abbia in mente di tornare in Italia per stare più vicina ai suoi cari. Valencia le è sempre piaciuta ma non era niente di più che un luogo di lavoro per lei. Sono certo che si trovi a casa per riabbracciare la sua famiglia. 

A prescindere da chi sceglierà per il suo nuovo team, quale credi debbano essere le cose essenziali a cui fare riferimento per lei, specialmente visto quello che le è venuto a mancare quest’anno? 

Quest’anno è stata semplicemente una lezione di vita. Sono convinto che il suo nuovo team farà di tutto per rendere e farla rendere al meglio. Credo che l’essenziale debba essere l’avere un metodo di lavoro condiviso e lo scambio reciproco di idee. E’ stata lei ad insegnare a me come aiutarla, non il contrario. Dopotutto, quello che conta di più è il riuscire a raggiungere il suo obiettivo nel modo in cui lei ritiene giusto farlo. 

Keys, Pliskova, Muguruza… Come sarà la WTA prossimamente? Vedi ancora Sara ai piani alti della classifica, magari di nuovo in Top20? 

Non è questo il tipo di obiettivo che lei si pone. Non lo è stato quando giocava da dio, tantomeno quando giocava male. Sono sicuro che riuscirà a riprendersi il posto che le appartiene. Darà tutto per riuscirci, e se troverà il modo di farlo con desiderio e gioia non c’è ragione per cui presto non la rivedremo in Top30.”

Potrebbero interessarti anche...